Angelin Preljocaj commenta alcuni suoi appunti di coreografia, "rubati" da Aurora Marsotto |
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Si inizia con un breve accenno all’inizio della carriera di
coreografo di Preljocaj, nata dopo aver studiato danza classica e dopo un anno in USA da Merce Cunningham.
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Segue la vittoria al concorso di Bagnolet con Marché Noir
https://youtu.be/XzL7SWy3N0c
coreografia da lui definita “machine a gagner” ossia costruita per vincere il
concorso, cui subito seguirà il meraviglioso Larmes Blanche https://youtu.be/dPVn6eZ9p7o in cui
Preljocaj dice di aver iniziato il suo percorso di ricerca sul
movimento a tutto tondo.
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La sua ricerca sul movimento va alle origini del
gesto per poi generare l’effetto, l’emozione, così come la matematica sta alla
base delle applicazioni tecnologiche. Il sentimento nasce dal movimento puro. Preljocaj racconta quanto sia incredibile il fatto che spesso si lavori ad una coreografia complicata
ma alla fine si resta totalmente presi da un movimento minimo che diventa la
cosa importante.
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Per questo ai ballerini durante le sue creazioni
dice di fare le cose non di mostrarle: è facendole sinceramente che poi
arrivano a chi osserva.
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E’ felice di lavorare con i ragazzi della Scala,
e scherzando (ma non troppo) dice che a loro fa sicuramente bene lavorare con un
coreografo vivo (riferendosi all’emozione e allo stimolo che dà la partecipazione diretta ad
una creazione).
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Alla domanda della Marsotto: “che cosa rende un’opera
un classico” sorride, sostendendo che in primis se lo sapesse sarebbe a posto 😀 e poi afferma che un classico cresce grazie alle diverse interpretazioni a cui tutti gli
interpreti aggiungono qualcosa rendendola così immortale.
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Inoltre l’opera esiste perché esiste chi la
guarda. Finchè la provi e resti in sala e non esiste nulla, nasce nel momento
in cui diventa rappresentata. Fa il paragone con una fotografia analogica:
il fotografo la scatta, ma poi finchè non si sviluppa sulla carta, la foto non
esiste. Il coreografo scatta la foto, mettendoci anche due mesi di lavoro, ma è
il pubblico che vedendo il balletto gli dà vita, lo sviluppa, confermando in
tal senso il ruolo fondamentale del pubblico in qualsiasi forma d’arte. “C’est
un’histoire de regard et de rencontre”.
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“Winterreise” nasce da un’idea che si ben accorda
con il filone di balletti su musica da camera iniziato dalla direzione Pereira con Cello Suites, Progetto Haendel
e Golderg Variations. Preljocaj apprezza la dimensione intimista tra pubblico
ballerini e musicista che si crea in queste occasioni. (mi è sorta la domanda
se davvero ritiene che la sala della Scala sia adatta ad una dimensione così
intimista, ma me la sono tenuta per me).
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Sulle novità contemporanee il suo punto di vista
è che lo spettatore tende a voler vedere le cose a cui si è abituato, e quando si
propongono delle novità, gli si richiede uno sforzo: questo meccanismo deve
funzionare come un elastico, ovvero se si propone qualcosa di nuovo poi bisogna
andare incontro in altro modo, se non si vuole creare rottura. Non vuole avere
il ruolo di un provocatore tout court solo per il gusto di farlo.
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Progetti futuri dopo Winterreise: con il suo
gruppo G.U.I.D. di danzatori di Aix (Groupe Urbain d'Intervention Dansée), dopo
aver portato la danza nelle carceri e aver ricevuto dal pubblico dei carcerati delle
lettere meravigliose piene di meraviglia e di emozione, ha deciso di iniziare
in prima persona un progetto nelle prigioni coinvolgendo direttamente nello
spettacolo una ventina di detenute. Spettacolo che sta prendendo forma e che
verrà rappresentato a Giugno 2019 al teatro di Aix en Provence e anche al
Festival di Montpellier.