sabato 10 novembre 2018

Giselle - Akram Khan - Ballet Vlaanderen - Aki Saito e Wim Vanlessen


Da rimanere senza fiato per questa Giselle di Akram Khan, ballata ad Anversa dal Balletto delle Fiandre con Aki Saito e Win Vanlessen.
Non avendo mai avuto occasione di andare in UK a vedere ENB, mi sono decisa a vedere lo spettacolo ad Anversa. E l'effetto è stato ben oltre le mie aspettative.


In primis per questa versione, che ha una potenza drammatica incredibile e che mi ha decisamente fatto rileggere la storia di Giselle in chiave non solo moderna, ma esplosiva, terrena e con delle sottolineature caratteriali sia drammaturgiche che coreografiche inaspettate. Ad esempio, la ribellione di Giselle a Myrtha (un'eccellente Morgana Cappellari)  in contrapposizione alla sottomissione all'autorità da parte di Albrecht  nel primo atto, è potentissima. C'è anche nella versione classica ma è molto più delicata. Giselle prega e resiste, qui si oppone nettamente.



Andando con ordine: ho avuto un primo momento di perplessità all'inizio del primo atto (come dicevo ad una mia amica andrebbe rivisto per coglierne i particolari), perchè a mia sensazione il setting parte già tutto piuttosto cupo: la scenografia è un muro di cemento grigio, credo a rappresentare la divisione fra popolo e nobiltà nel primo atto e fra vita e morte nel secondo, e quindi la divisione inesorabile fra Giselle ed Albrecht.

Ho fatto un po' fatica a cogliere attraverso la campionatura ripetitiva della musica originale la delicatezza dell'incontro e dell'innamoramento, e sulla coreografia mi sono un po' persa. Ma dall'arrivo dei nobili con il ritmato e dinamico ballo di Hilarion (Mikio Kato, un gatto) e degli immigrati (qui non sono contadini), sono stata coinvolta completamente. Drammatica la reinterpretazione della scena della follia; niente mamma per Giselle, solo Hilarion.


Nel secondo atto, le Willi non sono creature eteree, sono dei fantasmi, quasi degli zombie, i cui inquietantissimi pas de bourrè (più ancora dei bastoni che brandiscono) avanzano inesorabili verso le vittime. Sembrano la bambina di The Ring, con i capelli lunghi sul volto, fanno veramente paura quando escono dal buio sul fondo con le luci di taglio (di Mark Henderson bellissime) a creare un'atmosfera rarefatta e cupissima. Ci si sente sotto terra. Brividi.

Poi il passo a due finale si apre sulla musica originale leggermente distorta ed è meraviglioso, da lacrime, mi sono commossa veramente. E' un contrasto incredibile con la scena precedente come se arrivasse una luce nel buio. Per poi spegnersi definitivamente in un finale senza speranza.


Geniale il pensiero di "campionare" sia la coreografia originale (ad esempio il pavese dei contadini del primo atto, l'incrocio in arabeqsue delle willi e la diagonale delle Willi che rifiutano la preghiera di Giselle), sia la musica originale (Vincenzo Lamagna da Adam) ossessiva in certi punti che ripete sequenze di poche note perfettamente riconoscibili ma con una piega inquietante, a sottolineare il dramma. I temi di Giselle riemergono come fantasmi in una nebbia musicale. Bellissimo.

E poi gli interpreti. Aki Saito alla sua ultima rappresentazione, un addio alla scene memorabile, bravissima ed espressiva, una Giselle delicata forte e straziante.


Wim Vanlessen poetico, potente, tragico mi è piaciuto molto (nota, questo ruolo dovrebbe farlo anche Murru, sarebbe perfetto). L'ultimo passo a due di Giselle e Albrecht è stato anche il loro, e si è percepito, è arrivato in platea, erano da lacrime. Stupendi.

Per finire un'ottima compagnia all'altezza di una coreografia audace e travolgente che rende protagonista anche il corpo di ballo.




Spero proprio che prima o poi questa Giselle arrivi anche in Italia, (agli Arcimboldi sarebbe perfetta), perchè merita di essere vista da un pubblico più ampio.











sabato 27 ottobre 2018

L'histoire de Manon - Emanuela Montanari e Claudio Coviello


Reduce da una rappresentazione di Manon splendida, intensa appassionata eccomi a cercare di fissare i sentimenti sulla "carta". E non è facile quando esci un po' senza parole perchè non ci sono parole per descrivere emozioni cosi forti e al tempo stesso delicate.


Emanuela Montanari è un'artista meravigliosa che ha saputo "essere" Manon con una naturalezza e una sincerità rara. Una sua Manon, con sfumature diverse dalle altre. Interessata alla vita lussuosa di Monsieur G.M. ma sempre senza dimenticare il rimpianto per Des Grieux.



Anche quando si allontana impellicciata e ingioiellata con GM, l'ultimo sguardo prima di uscire di scena è per il ricordo di Des Grieux. 

Quando lo rivede, alla festa anche l'ultimo attimo della sua danza con i cavalieri, l'ultimo sguardo, mentre è ai piedi di GM, è sempre per Des Grieux. E' come se ci fosse una calamita che la riporta comunque sempre lì, e te la fa sembrare più vicina e comprensibile, meno ochetta amorale senza contorni caratteriali precisi.


E l'ultimo passo a due è a livelli altissimi. L'intesa con Coviello è stata senza indugi, entrambi disperati lanciati follemente in una fuga e un destino senza appello.


La qualità del gesto nella danza di Montanari è incredibile, perchè anche se non spinto tecnicamente, ogni passo della coreografia ha sempre un significato e ognuno interpretato nel contesto dell'evoluzione della vita di Manon:  ad esempio nel primo passo a due quello dell'incontro, quando gioca con Des Grieux girandosi a destra e sinistra in opposizione a lui, è una bambina di sedici anni deliziata di essere corteggiata da un ragazzo carino.


Così come alla fine l'uso del corpo ormai senza forza ma con accenti di ribellione alla morte è magistrale.


Claudio Coviello, è un Des Grieux molto bello, giusto, coinvolto e innamorato con un carattere poetico e delicato, degno partner di Montanari. Ha un dialogo di occhi continuo con Manon anche nei momenti di rottura. La disperazione di Des Grieux ai massimi livelli. C'è sempre margine di crescita  ma ormai è un artista completo a livelli internazionali e averne visto l'evoluzione dal 2011 è stato un vero privilegio.












E poi c'è Lescaut.. e come si fa? io ho appena finito di fare lodi sperticate a Fagetti e ora le devo necessariamente rifare per Walter Madau che è stato un Lescaut altrettanto brillante. Meno cattivo e inquietante, più delinquentello, vivacissimo il physique du role ed una verve perfetta: un ubriaco, da solo e come partner, al limite dell'equilibrio umano. Bravissimo.
Orgogliosa di dire che alla Scala abbiamo i due migliori Lescaut che ho mai visto.



Ho rivisto con piacere Antonella Albano, un'amante molto gradevole che fa anche un po' tenerezza nel suo essere costretta ad essere seduttiva.


Sempre cattivissimo il carceriere Mick Zeni, e molto efficace nella sua spregevolezza il GM di Massimo Garon.



Uno scugnizzo vivacissimo Valerio Lunadei 💕


Insomma la Scala che amo. La mano di un maitre meraviglioso come Murru si è vista nei più picccoli particolari e non averlo più alla Scala il prossimo anno sarà una grandissima perdita. Ma mai dire mai.

Una serata da ricordare. Peccato, davvero peccato che ad un cast così incredibile venga dedicata una sola serata (niente prova d'insieme e niente generale). Uno spreco totale dell'incredibile artisticità scaligera che andrebbe promossa e non relegata ad una serata unica senza alcuna comunicazione adeguata. Ma evidentemente sono logiche (?) che mi sfuggono.
Che dire? Spero di rivedervi presto.

PS:
sulla direzione, tanto osannata, dico solo che, dal punto di vista musicale (per quanto ne capisca) è stata una bellissima esecuzione di Massenet, ma personalmente penso che se un direttore sta dirigendo un balletto dovrebbe tenere conto dei ballerini e della coreografia in scena.
Ad esempio, il primo passo a due, è stato diretto quasi il 20% più lento che nel 2011 per Guillem e Murru. Tenere gli slanci della coreografia di MacMillan interpretando i passi con accelerazioni e pause con tempi così lenti non è per niente semplice, per nessuno dei cast andati in scena.

sabato 20 ottobre 2018

L'histoire de Manon - Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko



Manon. Per tornare a vedere Manon ogni volta mi devo un po' forzare. So che è difficile, praticamente impossibile rivivere le emozioni di una sera del febbraio 2011, che fu il motivo per cui dopo anni di quiescenza, la passione per la danza tornò fuori in modo prorompente.
Guillem e Murru furono deflagranti nel farmi tornare alla mente il significato vero di stare in scena. Senza divismi, ma con una carisma elegante e potentissimo. alla luce di una verità di interpretazione che resta per me il vero senso dell'arte.

Comunque, nonostante per alcuni anni Manon sia restata tabù, tornai a vederla con un giovanissimo Coviello e Osipova. Poi sempre Coviello e Lamb,  Nuñez e Bonelli ed ora alla Scala, l'occasione di vedere due cast che hanno lavorato con Murru come maitre: Manni Andrijashenko e Montanari Coviello. Grande per loro la possibilità di lavorare con chi sa capire e scavare profondamente nei due personaggi.

Per ora ho visto solo Nicoletta e Timofej, e le personalità dei ruoli secondo me sono emerse, in particolare in alcuni momenti della loro prima (più che nella generale) dove il dialogo danzante fra i due era palpabile nonostante alcune esitazioni sul fronte del legato e della musicalità.


Timofej Des Grieux era realmente un ragazzo disarmato di fronte alla bellezza ingenua e all'amoralità di Nicoletta Manon. Bello l'assolo del secondo atto di Manni, con un gioco di sguardi preciso e magnetico diretti a  Des Grieux e a Monsier G.M. (Zeni fantastico). Una discussione reale e nella parte per entrambi nel bracelet pas de deux, una disperazione senza appello nell'ultimo pdd, dove Timofej di fronte alla morte di Manon piange sommesso senza grida mute, ma portando la mano di lei sulla sua fronte.





Un grandissimo Fagetti ha delineato con grande misura ed efficacia il suo Lescaut: la sua forza sta in una tecnica pulita fluida e brillante e nel fatto che è sempre nella parte in ogni secondo anche nelle controscene da ubriaco del tavolo da gioco del secondo atto; perfido e sordido nel primo atto quando schiaccia la testa di Manon contro il petto di GM, in quel pas de trois che per la prima volta ho trovato così realistico da essere quasi un po' disturbante (Fagett, Zeni e Manni), a dimostrazione della potenza espressiva della coreografia di MacMillan.




Più che dignitoso anche il Lescaut di Del Freo, meno esplosivo e perfido di Fagetti, brave entrambe le amanti, Arduino più coquette più seduttiva, Albano un po' più sguaiata e ubriaca che nella parte ci sta a pennello. Ottimi mendicanti con grande tecnica Semperboni e Fresi, più scugnizzo.







E ora aspetto con trepidazione Coviello e Montanari che, se rifanno la meraviglia fatta nella Dame, saranno splendidi. Quarto cast Toppi e Agostino.

E così ho capito che posso tornare a vedere Manon: ma, c'è un ma, non posso tornare a vederla sbagliata. E invece ho visto due divi, che sono sicuramente tali e io non sono nessuno per dire il contrario, che ai miei occhi si mettevano in scena senza sfumature per mostrare se stessi attraverso una Manon che sembrava non sapere bene bene che cosa stava facendo, e un Des Grieux con due facce sole.
Così la vedo io, ovviamente controcorrente perchè ho letto critiche entusiaste e per le recite dei divi è sempre stato tutto esaurito, ma visto che questo blog lo leggono in tre oltre me, non credo possa essere incriminata ufficialmente per lesa maestà 😊.

A conferma che, se i prezzi scendessero, anche gli altri cast farebbero tutto esaurito, Manni e Andrijashenko hanno fatto il pieno con ScalAperta e il pomeriggio per i Giovani. Con un pubblico bellissimo e vergine che non ha mancato di gratificare tutti gli artisti in scena.




 


Alla Scala in questi casi per me vale più vedere gli altri cast.
E speriamo che vada avanti così per un po'.