Spettacolo clou della scorsa stagione del Royal Ballet, Woolf Works è un evento che segna anche il rientro vero di Alessandra Ferri in Scala. Difficile parlare di uno spettacolo evento di cui tutti hanno detto tutto. Ma di getto, queste sono le mie impressioni.
Primo cast
Bellissima l'idea di McGregor di raccontare il mondo della Woolf con tre balletti, così diversi e ispirati a tre romanzi così diversi. Ogni balletto è così ricco di particolari e di atmosfere: non c'è certo rischio di annoiarsi, nonostante il mood sia bello tosto. In effetti avevo una perplessità sul possibile interesse del pubblico italiano perchè, se in UK la Woolf ha un'importanza pari a Dante, da noi in Italia non gode certo di tutta questa popolarità. Invece c'è stata una grande risposta di pubblico. Molto bene.
Secondo Cast
Il mio personale ordine di preferenza mette per primo Tuesday (ispirato a "The Waves"): grande emozione nel testo iniziale ultima lettera di Virginia al marito prima di suicidarsi il 28 marzo 1941 e che inizia con il giorno in cui l'ha scritta Tuesday, appunto. Da lì, l'atmosfera si assesta su una malinconia struggente che però non è disperazione tragica, ma più un lento, inesorabile lasciarsi scivolare nelle braccia del corpo di ballo che simula le onde, nell'acqua, nella morte.
Incredibile, da brividi, da lacrime. Musica meravigliosa di Richter.
Alessandra Ferri magistrale, Emanuela Montanari nel secondo cast assolutamente non da meno.
Alessandra Ferri e Federico Bonelli
Emanuela Montanari e Antonio Sutera
Secondo, sempre nelle mie personalissime preferenze, è I now I then (ispirato a Mrs Dalloway), dove l'intreccio dei ricordi e delle vite delle persone quasi a livello filmico ricorda un po' il linguaggio di Neumeier.
Splendide scenografie, cornici o pagine di libri da cui escono i personaggi dando sempre dei doppi piani di visione con tagli di luce drammatici senza essere "effettoni".
Anche qui Ferri meravigliosa, padrona assoluta del ruolo di Virginia/Clarissa cucito addosso a lei, sempre di una grande malinconia e con una presenza potente. In ruoli perfetti per questa fase del suo ciclo di vita come artista, Ferri restituisce alla platea una grande performance emotiva e non solo (gambe e piedi sempre incredibili). Da parte sua, Emanuela Montanari, ovviamente molto diversa ma altrettanto intensa sul fronte interpretativo, mi è sembrata dare più contrasti nelle (poche) scene più gioiose.
Molto profondo il passo a due di Septimus e di Evans nel primo cast con
Timofej Andrjiashenko e Claudio Coviello, ma anche nel secondo con Gioacchino Starace e
Andrea Risso. Una Rezia presente e di carattere quella di Alessandra Vassallo.
Alessandra Ferri
Emanuela Montanari e Massimo Garon
Timofej Andriijashenko e Claudio Coviello
Gioacchino Starace e Andrea Risso
Gaia Andreanò, Emanuela Montanari, Benedetta Montefiore e Antonio Sutera
Federico Bonelli e Agnese Di Clemente
E poi Becomings (Orlando) dove il linguaggio coreografico di McGregor si scatena, in termini di velocità, difficoltà, iperestensioni. Di taglio più tipicamente McGregor e più moderno sicuramente, in Becomings la danza e lo spettacolo si integrano con gli effetti dei laser. I ballerini della Scala reggono bene ma il linguaggio di McGregor deve essere ancora un po' metabolizzato. Ottima Manni e una bellissima Losa. Emerge Fagetti la cui capacità di adattarsi agli stili dei diversi coreografi è un plus incredibile.
Timofej Andrjiashenko e Nicoletta Manni
Gioacchino Starace e Maria Celeste Losa
Federico Fresi e Alessandra Vassallo
Antonella Albano e Mattia Semperboni
Nicola del Freo e Chrstian Fagetti
Marco Messina
Insomma per quanto mi riguarda ci voleva proprio alla Scala una botta di modernità vera, di originalità, dando occasione al corpo di ballo di mettere il naso fuori e di ballare stili diversi, protagonisti del panorama mondiale attuale.
Chiunque ne sia l'ispiratore/ispiratrice va ringraziato.