sabato 20 ottobre 2018

L'histoire de Manon - Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko



Manon. Per tornare a vedere Manon ogni volta mi devo un po' forzare. So che è difficile, praticamente impossibile rivivere le emozioni di una sera del febbraio 2011, che fu il motivo per cui dopo anni di quiescenza, la passione per la danza tornò fuori in modo prorompente.
Guillem e Murru furono deflagranti nel farmi tornare alla mente il significato vero di stare in scena. Senza divismi, ma con una carisma elegante e potentissimo. alla luce di una verità di interpretazione che resta per me il vero senso dell'arte.

Comunque, nonostante per alcuni anni Manon sia restata tabù, tornai a vederla con un giovanissimo Coviello e Osipova. Poi sempre Coviello e Lamb,  Nuñez e Bonelli ed ora alla Scala, l'occasione di vedere due cast che hanno lavorato con Murru come maitre: Manni Andrijashenko e Montanari Coviello. Grande per loro la possibilità di lavorare con chi sa capire e scavare profondamente nei due personaggi.

Per ora ho visto solo Nicoletta e Timofej, e le personalità dei ruoli secondo me sono emerse, in particolare in alcuni momenti della loro prima (più che nella generale) dove il dialogo danzante fra i due era palpabile nonostante alcune esitazioni sul fronte del legato e della musicalità.


Timofej Des Grieux era realmente un ragazzo disarmato di fronte alla bellezza ingenua e all'amoralità di Nicoletta Manon. Bello l'assolo del secondo atto di Manni, con un gioco di sguardi preciso e magnetico diretti a  Des Grieux e a Monsier G.M. (Zeni fantastico). Una discussione reale e nella parte per entrambi nel bracelet pas de deux, una disperazione senza appello nell'ultimo pdd, dove Timofej di fronte alla morte di Manon piange sommesso senza grida mute, ma portando la mano di lei sulla sua fronte.





Un grandissimo Fagetti ha delineato con grande misura ed efficacia il suo Lescaut: la sua forza sta in una tecnica pulita fluida e brillante e nel fatto che è sempre nella parte in ogni secondo anche nelle controscene da ubriaco del tavolo da gioco del secondo atto; perfido e sordido nel primo atto quando schiaccia la testa di Manon contro il petto di GM, in quel pas de trois che per la prima volta ho trovato così realistico da essere quasi un po' disturbante (Fagett, Zeni e Manni), a dimostrazione della potenza espressiva della coreografia di MacMillan.




Più che dignitoso anche il Lescaut di Del Freo, meno esplosivo e perfido di Fagetti, brave entrambe le amanti, Arduino più coquette più seduttiva, Albano un po' più sguaiata e ubriaca che nella parte ci sta a pennello. Ottimi mendicanti con grande tecnica Semperboni e Fresi, più scugnizzo.







E ora aspetto con trepidazione Coviello e Montanari che, se rifanno la meraviglia fatta nella Dame, saranno splendidi. Quarto cast Toppi e Agostino.

E così ho capito che posso tornare a vedere Manon: ma, c'è un ma, non posso tornare a vederla sbagliata. E invece ho visto due divi, che sono sicuramente tali e io non sono nessuno per dire il contrario, che ai miei occhi si mettevano in scena senza sfumature per mostrare se stessi attraverso una Manon che sembrava non sapere bene bene che cosa stava facendo, e un Des Grieux con due facce sole.
Così la vedo io, ovviamente controcorrente perchè ho letto critiche entusiaste e per le recite dei divi è sempre stato tutto esaurito, ma visto che questo blog lo leggono in tre oltre me, non credo possa essere incriminata ufficialmente per lesa maestà 😊.

A conferma che, se i prezzi scendessero, anche gli altri cast farebbero tutto esaurito, Manni e Andrijashenko hanno fatto il pieno con ScalAperta e il pomeriggio per i Giovani. Con un pubblico bellissimo e vergine che non ha mancato di gratificare tutti gli artisti in scena.




 


Alla Scala in questi casi per me vale più vedere gli altri cast.
E speriamo che vada avanti così per un po'.